li trovo arrabbiati, splendidi come sempre, e poco importa se alcuni testi sfiorano il nonsense di tiziano ferro. in casa69 (qualcuno però mi spieghi questo titolo) i negramaro tornano agguerriti, assolutamente roccheggianti, assolutamente pronti a buttarsi tra le braccia di un pubblico (femminile? adolescente? mica più tanto) che li vuole vibranti e rudi.
prendimi in giro come il sole a maggio quando sprofonda giù
lasciando all’improvviso spazio al grigio dentro il blu
gli addii graffiano come le unghie che scivolano lungo le braccia e lasciano i segni di una vita che non può essere scelta.
se un giorno mai, un giorno mai tu mi riconoscerai
illudimi che quella sia la prima volta che mi guardi e poi
non ricordare il nome e chiedimi il mio nome ancora dai
già me lo vedo il sangiorgi che sgambetta sul palco, inarrestabile inenarrabile sensuale da capogiro. i brani di questa volta obbediranno forse un po’ al mercato? hanno scoperto che il dolore si spinge in gola con scovolini fatti di musica, e che ci si trascina più giù se ci si scambia canzoni di addio e di rabbia e di rimpianto come cartoline dall’altrove?
può darsi. ma forse è proprio per questo che ci piace.
non resta più niente dei tuoi rimpianti
solo il ricordo di alcuni istanti
stretti a dovere intorno alla pancia
come una cinghia per non dimenticare
per rendere meglio l’idea del rancore e dell’energia distribuiti a manciate, nell’album stavolta ci sono ben due parolacce due – che però mi dispiace, non suonano affatto convincenti. come quando le dico io, insomma.
la notte è scesa già dentro l’anima
su tutta la città il buio è solo dentro me
e non ho più paura – questa luna è per te
però sono sempre qui, affamati d’amore e di attenzioni, e sono pronti a restituire a comando quella spinta irrazionale guidata da delusione, passione, devastazione.
no, non correrò il rischio di poterti
perdere nel buio dei miei ricordi
senz’averti detto prima tutto
proprio tutto
sulla mia identità
che nessuno in fondo sa
ho ascoltato l’album di fila mentre ero in viaggio, ed alcune espressioni che vengono ripetute stonano all’orecchio come una battuta comica ripetuta due volte durante uno sketch. come il tempo che fugge, il mondo che cade, un nome da dare, o la luna il cielo il sale, i “che ce ne importa a noi”.
no sangiorgi, questa non me la dovevi fare.
chi
sono io
senza di noi?
poca acqua per tanta sete
un punto in più alla copertina che, lo ammetto, solo dopo parecchio tempo e guardandola da lontano ho capito che il cuore è un uomo roccioso e nerboruto (ma dai!! sembrerebbe quasi il sangiorgi) in posizione fetale.
che senza di noi c’è la libertà, si ma basta così, così,
e tu baciami qui, qui
che l’ultimo sia e poi che senso avrà, tanto basta così, così
fermiamoci qui.
ho cercato quasi invano di analizzare l’album, ma dopo il terzo ascolto mi sono convinta che il nostro eroe potrebbe incidere un cd cantando l’elenco del telefono e tutte gli andremmo irrinunciabilmente, immancabilmente dietro.
a me resta il silenzio
di quel che penso