come un legno che si sfalda

“cosa leggo adesso?”
la risposta arriva diafana e brillante come un cinto di venere; mi arriva dritta al cervello, senza doverla aspettare. prendo un libro che ho da quindici anni almeno: un’edizione della biblioteca economica newton. mio padre da giovane poteva comprare i classici mondadori a 500 lire, la mia epoca mi ha offerto i tascabili b.e.n. a 2mila: a quel prezzo, anche una teen-ager poteva giocare d’azzardo e comprare un romanzo a lei poco noto, senza la sicurezza che le piacesse.

il libro che prendo è “il prato in fondo al mare”. l’ho comprato convinta che quel nievo scritto in grande fosse l’ippolito di cui ho sempre sentito parlare ma che non ho mai davvero conosciuto: adesso avrei avuto un’occasione per intuirlo.
invece poi di fatto è stato come se vi dicessero: ti presento eliot, e invece di un uomo vi trovate davanti ad una donna. voi vi aspettate thomas, e invece arriva george, cioè mary anne evans.
ho preso funghi per meduse.
ecco cosa succede a non voler mai leggere la quarta di copertina.

“il prato in fondo al mare” non è stato scritto da ippolito nievo bensì dal suo pronipote, stanislao. non è nemmeno un romanzo, ma sostanzialmente il resoconto di una ricerca. di una caccia direi. o delle sette fatiche d’ercole.
con questo libro stanlisao nievo lascia alle memorie il racconto dei quindici anni di indagini che lo hanno portato fino in fondo al mare per far luce su, e restituire il ricordo a, la scomparsa del celebre prozio. nel 1974 pubblica questo libro, che ha vinto la selezione campiello, e che non fa altro che raccontare quello che lui ha vissuto. non lo fa in maniera affettata, nè particolarmente coinvolgente, nè con uno stile particolarmente ridondante. un tocco romantico, qua e là, ma molto disciplinato. non lo fa, perchè sa che a strappare un’esclamazione di stupore sono sufficienti già solo i segni, le coincidenze, gli inseguimenti.
i segni li colgo anche io. possiedo questo libro da quando avevo quindici anni e non mi ha mai sfiorato il desiderio di leggerlo. l’ho preso in mano ora che ho fatto anche io lunghi viaggi in fondo al mare, con la mente, ora che anche io ho inseguito una memoria, ora che ne sto inseguendo un’altra, anche se ancora in segreto. ho letto questo libro ora che le parole parapsicologia, frequenze, energia, sensitivi, medium, onde non mi sono sconosciute, e ho assistito confortata al loro utilizzo da parte di uno che è giornalista, che ha viaggiato per il mondo e che ha pure fondato il wwf e inaugurato l’idea dei parchi letterari. ho letto il suo libro in pochi giorni, volutamente senza informarmi sulla vicenda, volutamente senza voler sapere nulla di lui: l’ercole, la nave con cui ippolito nievo è naufragato ventinovenne, è sfuggita di continuo anche a me, mentre leggevo, sfaldandosi al contatto con la mia mente mentre anche io cercavo di riportarla verso la superficie.

ho chiuso il libro con un po’ di nostalgia, la stessa che coglie quando si saluta una persona appena conosciuta in treno dopo una conversazione ricca di affinità. è arrivata la mia fermata, sono dovuta scendere.
perciò ho continuato il mio viaggio su internet, e ho scoperto il sito a lui dedicato. “stanislavo nievo è nato nel 1928”. a conti fatti dovrebbe avere 83 anni. il libro che ho letto è stato presentato di nuovo nel novembre 2010. lo portano ancora in giro: incredibile! chissà se le e-mail le controlla lui di persona oppure no. potrei dirgli: anche io ho una storia da raccontarti. o dovrò dargli del lei? sono stata con lui dappertutto, a letto, sul divano, in spiaggia, avrà senso dargli del lei?
poi la frase finale, laconica, rispettosa: si spegne a roma il 13 luglio 2006.

così anche l’idea di lui nella mia testa si è sciolta al contatto con la realtà, come i residui di legno che cercò di rubare al mare, quaranta o cinquanta anni fa (ma al mare no, non si ruba niente, il mare segna tutto sul conto). nel 2006 avevo appena cominciato il mio cammino. se avessi incontrato il suo libro prima, non sarebbe stato all’incrocio giusto, quello con la luce adatta. quello che mette in risalto quell’ombra buona negli occhi, e che induce a rallentare il passo.

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