“non sono mai riuscita a non farle male. (…)
era una cosa tua e mia e di nessun altro.
quello che ti ho fatto ti ha sporcato.
sei acqua di mare, piccola mia… penso.
quante volte ti ho sentito su di me, i miei guai che si squagliavano come la cera al calore del tuo corpo. (…)
quelle dita intrecciate senza bisogno di spiegarselo e poi il mare e noi due sedute davanti agli scogli che cercavano una scusa, anche una banalità per dare un nome al fatto che ci sembrava già impossibile staccarci di dosso.
quante volte ho voluto le tue parole minime, che risolvevano le mie sciagure colossali, sotto una trapunta tirata sul naso, nel gelo dei nostri dicembre e febbraio piovosi, in questo cunicolo umido di città.
perché, adesso, mi sento troppi anni addosso? perché vorrei non trovarmi affatto qui, ma stretta a te, mentre cancello episodi della mia vita inutili, momenti sprecati, spacconate che ho fatto e che non sono servite a niente.
quante volte l’hai capito, che i miei giorni erano formati da ore e minuti inutili, finti.
(…) sei la mia carta carbone, il mio negativo, la mia scialuppa.
come faccio a dirtele, tutte queste cose, adesso?”
(da “senza te“, vincenzo di pietro)
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