l’odore polveroso del fazzoletto di tessuto con cui mio padre mi stringeva quei denti da latte che non volevano cadere.
quando al catechismo facevano vedere i video didattici, e io finalmente potevo mangiare le gingomme di nascosto.
i calcoli faticosi per ottenere il maggior numero di goleador e mentine con il minor numero di pezzi da cento lire.
l’odore della mia camera nel primo pomeriggio, tornando dal liceo.
quella volta in cui andai a togliermi il grembiule e sul letto c’era baby mia astronauta, impacchettata per il mio compleanno.
quando suonarono alla porta e sul pianerottolo c’era babbo natale che mi consegnava la casa di barbie, quella con l’ascensore. poi mi chiedeva come andava con la varicella.
ricordo i rumori sconosciuti della mia casa la mattina, quando avevo la febbre. la tacita abitudine con cui mio padre mi riportava qualcosa dall’edicola. a volte era qualcosa di nuovo, insolito, e ogni volta speravo che fosse quella volta. poi, sempre d’eccezione, bruschette e olio a pranzo.
un invito allettante a bagnare il dito nel bicchierino dell’amaro.
una domanda consueta, “hai fame?” e la voglia di rispondere “è l’una: secondo te?”. il sorriso divertito dietro quella domanda.
dovevo essere proprio una bambina buffa.
nei sogni notturni fuggivo da un nemico sconosciuto, attraversando le colline che guardavo dalla finestrella per riposare gli occhi dopo l’ennesimo calcolo della derivata che non ridava.
la voce di mio nonno che mi chiama trascinando l’ultima vocale. anche quella volta in cui l’ho sognato, la prima volta che l’ho sognato.
l’odore di gasolio e fernet farsi netto al mio fianco, poche settimane fa.
ricordo le luci giocare con l’immaginazione lungo il corridoio di notte.
non ho mai avuto paura del buio.
nei miei ricordi le aule di scuola sono sempre troppo piccole e in penombra. i visi di molti professori, forme indistinte. alcuni nomi li ho dimenticati.
ricordo invece a memoria gli appelli di scuola. io arrivavo sempre dopo i primi 15.
ho sempre immaginato quelli con i cognomi che iniziano per v e per z molto pazienti per natura. destinati a rimanere in fondo, in attesa del loro turno, e perciò abituati ad osservare la realtà e a trarne lezioni preziose. li ho sempre ritenuti più saggi di me. quelli che cominciano per a, di contro, li ho sempre immaginati un po’ snob e viziati. loro non devono aspettare mai.