sono stata al concerto che francesco baccini sta portando in giro per l’italia. “baccini canta tenco – porto a spasso luigi nei teatri”.
ma questa non è una recensione. è il racconto ad occhi sbarrati di un’esperienza da cui ancora non mi riprendo.
ogni artista ha in sè il desiderio di immortalità. chi parla, scrive, dipinge o suona lo fa sempre perchè vuole essere ascoltato: perchè si sveglia l’esigenza, a volte l’urgenza, di dire qualcosa, e di fare in modo che quello che si dice sopravviva a se stessi. è questa, la consacrazione di un artista: essere ricordato, lasciare un segno. rimanere.
lo si fa attraverso i figli, lo si fa attraverso le opere.
immaginate di avere un’eredità da lasciare. di formulare un pensiero che vi appartiene, di dargli sostanza e suoni che gli si adattano. immaginate di trovare il vestito giusto ad un’idea che avete formulato, e di avere un’occasione sacra per farla conoscere e per farvi rappresentare da lei. immaginate di avere qualcosa da dire e di sapere perfettamente come dirla.
immaginate di sentirvi dire: va bene la forma, ma non va bene quello che dici.
come dire: non sederti tu, lasciaci solo i tuoi vestiti.
immaginate di piegarvi al gioco. con quale sentimento?
questo accade più spesso di quello che crediamo, e sempre sotto false sembianze. accade tanto la mattina davanti l’armadio, quando scegliamo il colore dei pantaloni che indosseremo, quanto di fronte al sogno nel cassetto che diventa realtà, il grande romanzo della nostra vita. tutto deve adattarsi a qualcosa di riconoscibile, perchè non ci viene insegnato quasi più a guardare al di là delle apparenze, bensì addirittura a fidarci solo di loro. non a sforzarci per comprendere il prezzo delle fatiche altrui, bensì a selezionare ciò che è familiare, perchè è rassicurante. non è più il prodotto a venire scelto, è lui a scegliere noi.
ecco perchè quello a cui ho assistito sabato 19 novembre al teatro massimo di pescara è stato un piccolo miracolo. un passaggio emozionante e inaspettato di storia della musica, quasi un lavoro di filologia – o archeologia, oserei chiamarla – nei meandri della testa e del cuore di un artista che non c’è più. di un cantante che non ha più voce.
francesco baccini porta in vita luigi tenco e rende giustizia ad una carriera finita troppo presto. magari tenco non si sarebbe mai piegato al sistema e oggi avrebbe fatto il tassista, come mirko dei beehive. magari non sarebbe sopravvissuto a woodstock, o sarebbe stato soffocato da una carriera fulminante. magari oggi ascolteremmo l’ultimo concerto di de andrè-tenco, anzichè di de andrè-pfm. non lo sapremo mai. quello che sappiamo oggi, invece, grazie a questo lavoro meraviglioso di baccini, è che “ciao amore ciao” non è stata scritta come tutti la conosciamo e non è stata concepita, come tutti fantastichiamo, come addio simbolico perchè avesse già in mente di suicidarsi eccetera eccetera. “ciao amore ciao” era nata dall’immagine di soldati, partigiani forse, che vanno a combattere, cantando il ritornello un po’ in saluto alle loro amate un po’ sulla falsariga di “ciao bella ciao”. la versione originale di “ciao amore ciao” era una canzone sulla guerra, non una canzone sull’amore. ma in una rassegna nazionalpopolare come sanremo non si poteva parlare di guerra, si doveva parlare d’amore.
questo sarà il singolo del cd che esce alla fine di novembre, e che io comprerò, perchè non mi stancherò mai di voler conoscere la verità delle cose.
non so se lo spirito irrequieto di luigi tenco approvi o no questo che sta accadendo. infesta i concerti inviperito perchè quella è roba sua e non si deve toccare, oppure li favorisce perchè grato a questo progetto? ad ogni modo, questo è certo un modo per tenerlo sveglio.
io penso che quello che baccini ha fatto restituisce a chi scrive, suona, canta, la speranza che una giustizia artistica possa esistere, e che un barlume di eternità possa spettare a tutti quelli che lo meritano.