dietro la voce vera delle cose

sei torbida, mi ha detto. come, torbida, ho fatto io. torbida, mi ha risposto. addensata.

mi vede come una birra artigianale, in cui c’è dentro tanta roba, che uno ha voglia di fermarsi e andare oltre.

ci ho messo un giorno a capire che era un complimento. ci sono riuscita solo perché ho pensato agli specchi, e agli sguardi incrinati che possono riconoscersi attraverso una fotografia, un controluce, una prospettiva. ho potuto capirlo solo misurando lo spazio che sta tra il primo sguardo e il secondo, dietro la voce vera delle cose. ho ricordato il frantumarsi di stelle dopo una risata, il ritrovarsi mai uguali eppure sempre un po’ somiglianti.

ho considerato la parola “indefinibile” come una carezza, di forma tendente all’infinito.

“- Bene – pensò. Poi si sentì come affondare, lentamente scendere in una depressione del terreno, qualcosa che viene giù.
– Bene, almeno un po’ ci capiamo – si disse, ma quella riflessione divenne un vento circolare. Torbido non vuol dire polveroso, non voleva dire ‘sei tutta pulviscolo, sei opaca’. No, quel termine gli era venuto fuori perché non sentiva in lei le sicurezze di una volta. Non poteva dire cosa, e non poteva neanche confessarlo così, su due piedi, ma in quello sguardo percepiva il dubbio, o l’inizio del dubbio, o finalmente lo sgretolarsi di una forma, l’inizio di un germe. Un caglio, uno sguardo addensato. Un virus. Non poteva nemmeno dirle che l’aveva scrutata, sbirciata, frugata ovunque, dalle pieghe verticali delle labbra alla scollatura, dalle punte ricurve dei capelli al collo.
– Bene, bene… – riprese a mormorare. Ma da quel sottoscala del pensiero riemergeva un lumino perchè era vero: torbida. Cioè contaminata, ecco. E c’era tutto quel mondo di lei oscuro, dipinto a ditate nere, inventato, neanche immaginato, ma solo fatto di un fiato, ansimare, non sapere, non sapere. Si disse che non era roba da scintille, da brillantini, non sarebbe mai stata una palla di specchi che trafigge il buio. Era tutto oscuro però, tutto senza una chiave d’ingresso. Era un capirsi, ma fine a se stesso.”
(feat.)

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Informazioni su Cristina Mosca

scrivo, amo, vivo
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