clasp

sono rimasta a fissarla perché mi sorprendeva il modo in cui mangiava quello che aveva tolto dalla borsa frigo. aveva un panino nella mano sinistra e un’altra cosa, simile ad una fetta di anguria, nella destra. davvero non capivo cosa avesse, nella mano destra, ma mi ipnotizzava il suo modo meccanico di portare alla bocca prima l’una e poi l’altra, tirare un morsetto prima a un piccolo pezzo del panino e poi a un piccolo pezzo dell’altra cosa, quasi senza masticare – quasi senza respirare, in realtà.
non riuscivo a toglierle gli occhi di dosso, perché contavo i morsi e mi dicevo adesso deglutisce, adesso prende fiato. invece no, i morsi arrivavano a sette a otto e a dieci, ma erano talmente minuscoli che la bocca sembrava non riempirsi mai, e lei sembrava non deglutire mai. era un robot con gli occhi persi in chissà quale pensiero, arreso alle mani programmate per portare alla cavità designata a bocca del materiale preimpostato per entrarci.

non c’è spazio che possa essere lasciato bianco, sulla tela di un pittore. anche quando il tessuto è già bianco, di bianco deve venire dipinto: quasi come aggiustare il nodo di una cravatta in tocco finale. tutto dev’essere coperto, perfetto; obbedire ad un’attenzione estrema per il dettaglio, ad un’applicazione e un impegno incessanti, senza respiro.
si perde il fiato anche in un abbraccio, in realtà. in lingua inglese, la stretta simile a una battaglia ha un suono quasi onomatopeico: clasp. come un battito di mani, ma, in più, con una esse in mezzo, sibilante di aria che sparisce tra i corpi.
ci sono abbracci che affermano sei mia, e abbracci che sussurrano sono tuo.

al termine di un corpo a corpo segue sempre una pausa. è il momento in cui si recupera il proprio ritmo dopo l’improvvisa accelerata. nella lotta sono stati sondati limiti necessari, conosciuti i confini, rivelati i punti di forza e quelli più fragili.
perché è così che si deve fare, se si vuole rompere una noce con i palmi delle mani: agire sui punti di rottura.

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Informazioni su Cristina Mosca

scrivo, amo, vivo
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Una risposta a clasp

  1. Antonio Sergio D'Agostino scrive:

    Ciao. Secondo me nell’altra mano aveva un peperoncino piccante, ecco perché mangiava a piccoli morsi alternando il piccante col salato del panino. Se il peperoncino è molto piccante i morsi devono per forza essere piccoli. Scherzi a parte il mio è solo un esercizio di fantasia, poteva essere qualsiasi altra cosa ma il peperoncino mi piace e trovo che fosse una buona opzione per dare un nome al misterioso cibo. In effetti volevo solo dire che scrivi bene e riesci ad incuriosire un vecchio pensatore come me. Complimenti Cristina.

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